Intelligente e iperconnessa, ma soprattutto sostenibile, sicura e “safe”. Così ci immaginiamo le città del futuro come luogo e modello di governo dove infrastrutture, ambiente, economia, cultura e cittadini dialogano sullo stesso piano utilizzando i dati.

In questo contesto, l’Internet of Thinks, inteso come l’insieme delle tecnologie in grado di collegare a internet e far comunicare in maniera intelligente (quasi) qualunque tipo di apparato, sta cominciando a trasformare le nostre con lo scopo di monitorare, controllare e gestire informazioni e dati relativi alla città e ai cittadini che dovrebbero essere costantemente raccolti e analizzati dagli strumenti tecnologici che definiscono le smart cities. Il passaggio tecnologico alla base della smart city è, pertanto, rappresentato dall’avvento dei c.d. big Data e degli open data dai quali discende il ruolo centrale rivestito dalle tecnologie che presiedono alla raccolta, alla comunicazione e all’analisi dei dati in un sistema iperconnesso.

Inoltre, il concetto di open data è strettamente legato a quello di open government, ovvero di democrazia partecipata con una pubblica amministrazione aperta ai cittadini, tanto in termini di trasparenza quanto di partecipazione diretta al processo decisionale al fine di rendere gli ambienti urbani sempre più “resilienti” e in linea con i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici in essere.

Ma cosa sono gli open data? I dati aperti – nell’accezione comunemente condivisa, cioè quella formulata dalla Knowledge Foundation, organizzazione no profit rivolta alla promozione dell’accesso al sapere nell’era digitale – sono dati che possono essere liberamente utilizzati, riutilizzati e ridistribuiti da chiunque, soggetti eventualmente alla necessità di citarne la fonte e di condividerli con lo stesso tipo di licenza con cui sono stati originariamente rilasciati”. Gli open data, quindi possono rappresentare un patrimonio prezioso e non solo in termini di democrazia partecipata. Così. Ad esempio, le imprese possono beneficiare dalla nuova conoscenza che deriva dai dati aperti migliorando i propri modelli di business o individuandone di nuovi. Sono già molti servizi innovativi basati sui dati aperti della PA che gli utenti utilizzano ogni giorno sui propri smartphone. Grazie ai dati aperti sviluppatori, giornalisti, università e centri di ricerca hanno a disposizione strumenti informativi sempre più solidi e affidabili per comprendere la portata dei fenomeni in atto e svolgere al meglio il proprio lavoro.

Ma chi raccoglie e soprattutto chi può gestire gli open data correttamente per non disperderli e/o renderli inutilizzabili?

Perché, se è vero che gli open data sono molto importanti per lo sviluppo delle città del futuro, è altrettanto vero che possono rappresentare un serio pericolo per la privacy. Infatti, non è sempre facile bilanciare il rispetto della privacy sia con l’esigenza di renderli utili per qualunque applicazione e sia con la trasparenza degli stessi.

Questo è uno degli argomenti che sarà affrontato mercoledì 23 giugno, dalle ore 16,00 alle ore 18,00 durante il webinar gratuito “Le nuove frontiere dell’illuminazione” che sto organizzando per l’Associazione culturale AIDI (Associazione Italiana di Illuminazione) dove sarà presente come moderatore della tavola rotonda Giulio Salvadori, direttore dell’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano.

Open Data
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